domenica 2 giugno 2013

INFORTUNI SUL LAVORO: LA COLPA DEL DIPENDENTE NON LIBERA IL DATORE DI LAVORO

Avv. Simone Fazzari
Simone Fazzari e Barry Smith Law Offices
Simone Fazzari e Barry Smith Law Group




Il datore di lavoro è sempre responsabile, in caso di infortunio sul lavoro, anche nel caso in cui la condotta del lavoratore sia stata colposa.
Il comportamento, seppur colposo, del dipendente, infatti, non è tale da liberare dalle proprie responsabilità il datore di lavoro.
Così la Corte di Cassazione, nella sezione lavoro, con la sentenza 4 febbraio 2013, n. 2512, non ravvisando, quindi, nel caso de qua, alcuna colpa del prestatore di lavoro.
In primo grado era stata accertata la responsabilità del datore di lavoro e si rigettava la domanda di quest’ultimo nei confronti della compagnia di assicurazione (considerando che per il danno biologico e quello morale non vi sia alcuna copertura assicurativa).
In sede di appello i giudici riconoscono la responsabilità solidale anche del preposto, “colpevole” di non aver verificato i macchinari, costringendo, in tal modo, i dipendenti a lavorare in condizioni precarie.
Il datore di lavoro proponeva ricorso per cassazione con 4 motivi.
Richiamando precedenti in materia (cfr. Cass. Sez. Lav. n. 1994/2012) i giudici di legittimità hanno precisato che “il datore di lavoro, in caso di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, è interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l'incolumità di quest'ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza; pertanto, la condotta imprudente del lavoratore attuativa di uno specifico ordine di servizio, integrando una modalità dell'iter produttivo del danno imposta dal regime di subordinazione, va addebitata al datore di lavoro, il quale, con l'ordine di eseguire un'incombenza lavorativa pericolosa, determina l'unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso”.
Ancora per quanto concerneva il rilievo circa la dedotta questione del divieto di cumulo degli accessori, la Corte, nella sentenza in commento, ha precisato che “la domanda proposta dal lavoratore contro il datore di lavoro volta a conseguire il risarcimento del danno sofferto per la mancata adozione, da parte dello stesso datore, delle misure previste dall'art. 2087 cod. civ., non ha natura previdenziale perché non si fonda sul rapporto assicurativo configurato dalla normativa in materia, ma si ricollega direttamente al rapporto di lavoro, dando luogo ad una controversia di lavoro disciplinata quanto agli accessori del credito dal secondo comma dell'art. 429 cod. proc. civ. Ne consegue che non opera il divieto di cumulo di interessi e rivalutazione stabilito per i crediti previdenziali dall'ari 16, sesto comma, della legge n. 412 del 1991”.
In merito al danno coperto dalla polizza gli Ermellini hanno precisato che la Corte territoriale ha correttamente argomentato che la stessa polizza era stata stipulata precedentemente al riconoscimento normativo del danno biologico (ex D.Lgs. n. 38/2000: l’obbligo di tenere indenne il datore per quanto egli sia tenuto a pagare in base agli artt. 10 e 11, D.P.R. n. 1124/65, non poteva pertanto che riferirsi ai soli tipi di prestazioni allora erogabili, cioè quelli relativi al danno patrimoniale.
L’ultima doglianza nella decisione in commento aveva per oggetto la sussistenza e l’entità deldanno morale; secondo quanto precisato dalla Corte, anche in questo caso l’operato della Corte territoriale è esente da censure: la grave menomazione fisica subita dal dipendente comporta il ristoro effettivo di tutti i danni provocatigli.
I giudici della Corte, quindi, rigettano il ricorso.

Avv. Simone Fazzari
Simone Fazzari e Barry Smith Law Offices
Simone Fazzari e Barry Smith Law Group


Nessun commento:

Posta un commento